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Parte da Torino la vertenza della Cgil contro Uber Eats: in città licenziati 300 riders

"Il lavoro su piattaforma si sta estendendo a tantissime altre forme di lavoro e la battaglia per Uber Eats è una battaglia per tutto il mondo del lavoro", ha detto Roberta Turi della Nidil CGIL nazionale

Sono 300 i riders che a Torino perderanno il posto di lavoro a causa della chiusura di Uber Eats, il 10% della platea nazionale. Numeri che vengono riportati da Enrico Francia, della Nidil Cgil di Torino, durante la giornata nazionale di mobilitazione organizzata dal sindacato. 

La questione è semplice: Uber Eats ha annunciato che da fine luglio non effettuerà più il servizio di consegna a domicilio in Italia lasciando senza lavoro e senza alcun sostegno economico i 3.000 riders che negli ultimi anni hanno lavorato per la piattaforma. La procedura di licenziamento collettivo è invece stata attivata per i 49 dipendenti dell'azienda. 

"Riteniamo questa mobilitazione una giornata importante. Chiediamo di trattare i riders come tutti i lavoratori. Noi pensiamo che Uber Eats non ha 49 dipendenti in Italia, ma 3.049", spiega Roberta Turi della Nidil CGIL nazionale, "Siamo qui per rivendicare che i 3.000 riders sono esattamente come i 49 dipendenti. I riders non hanno ammortizzatori sociali e rischiano di trovarsi senza lavoro e senza reddito". 

Il tema infatti è che il lavoro dei riders viene trattato, nonostante le numerose sentenze del tribunale, come una collaborazione autonoma e non come lavoro dipendente. Ciò permette alle aziende quando chiudono il servizio di non garantire ai riders alcun sostegno al reddito. 

"Il lavoro su piattaforma si sta estendendo a tantissime altre forme di lavoro e la battaglia per Uber Eats è una battaglia per tutto il mondo del lavoro. Noi crediamo che queste tipologie di lavoro vadano normate e bisogna dare nuovi diritti a questi nuovi lavoratori perché il rischio è che il lavoro su piattaforma rimanga solo precarietà e bassi compensi". 

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