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Venerdì, 29 Marzo 2024

Coronavirus, perché in Piemonte i casi non diminuiscono? La risposta del virologo

"La speranza è un vaccino"

Per quale motivo i casi di contagio da coronavirus in Piemonte non hanno una vistosa flessione e perché i morti continuano ad aumentare? È la domanda che in molti si stanno ponendo in questi ultimi giorni. Che qualcosa non sia funzionato nella gestione dell'emergenza? A rispondere è Giovanni Di Perri, virologo e responsabile Malattie infettive dell'Amedeo di Savoia di Torino.

In primo luogo si devono guardare i tempi dell'epidemia: "Il Piemonte ha visto l'inizio dell'espansione dei numeri dei contagi successivamente alla Lombardia, io ritengo che siamo una settimana in ritardo rispetto a Milano", commenta Di Perri che poi spiega che la decrescita della curva dovrebbe cominciare a vedersi tra qualche giorno. 

"La situazione è pesante in funzione della mortalità attribuile all'infezione da coronavirus", continua Di Perri e ha ragione perché nella sola settimana scorsa in Piemonte sono stati registrati 500 decessi portando il numero complessivo a 1.284 vittime del coronavirus. "Sul piano assistenziale gli sforzi fatti dalla Regione soprattutto per aumentare i posti di area critica - leggasi terapia intensiva - sono stati eccellenti e hanno permesso di compensare la situazione".

Numero di decessi che è ovviamente anche legate all'età anagrafica popolazione piemontese: "Abbiamo molte persone al di sopra dei 50anni e con una vita sociale relativamente alta. All'inizio dell'epidemia c'è stata una certa diffusione. C'è poi il problema delle case di riposo; questo concentrato di vulnerabilità necessita di azioni verticali", dice Di Perri che poi si sofferma sulle vittime tra il personale sanitario: "Io credo che un mese di epidemia con più di 90 morti tra i medici e 40 tra gli infermieri sia un tributo eccessivo". 

Ma si può ipotizzare un periodo entro cui finirà l'emergenza? "Se lei guarda la Cina dove c'è stato l'epicentro dell'epidemia e dove hanno messo in campo regole restrittive, militarmente sostenuti, lì faticano ancora oggi a liberarsi dell'infezione. Ho l'impressione che questa epidemia come tale resterà con noi per un po' e credo che la speranza è che i vaccini possano diventare fruibili nel prossimo autunno. Alla fine per il tipo di gravità che questa infezione genera al genere umano ci basterebbe anche un modesto vaccino". Il 5% delle forme cliniche sono gravi infatti e possono portare alla morte, ma la maggior parte dei cittadini sviluppe forme anche asintomatiche. 

Un'epidemia che verrà bloccata soprattutto quando gli Stati europei e non solo assumeranno misure omogenee: "Noi siamo parte dell'Europa e i nostri confini sono un colabrodo. O prendiamo tutti delle iniziative coerenti, rigide e determinate o altrimenti la volta che un territorio si libererà dell'infezione verrà invasa nuovamente da chi non ha fatto le stesse cose", conclude Di Perri. 

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