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Sanam Shirvani, dalla passione per lo sport al suo Iran: "Libera grazie al calcio, ma delusa dalla Nazionale"

L'arbitra della sezione di Torino ha parlato anche della protesta dell'Iran ai mondiali

Quando la passione rompe le barriere. Sanam Shirvani è la bandiera della rivoluzione che sventola sui campi da calcio di provincia piemontesi. Iraniana ed arbitra, Sanam si ritrova all'interno di due grossi mondi entrambi repressi e limitati da leggi non scritte (o in alcuni casi purtroppo sì) a favore del maschilismo. Lei, partita dall'Iran in cerca di un futuro migliore, si ritrova a commentare dal 16 settembre la rivoluzione che il suo popolo sta portando avanti, per vendicare la morte della cittadina curda Masha Amini - arrestata e brutalmente uccisa dalla polizia iraniana perché indossava male il velo. Lei, arbitra per passione, pronta a rivoluzionare la tendenza di un mondo da sempre maschile e maschilista. Decisa e disponibile sia nella vita che sul rettangolo di gioco, Sanam Shirvani ha parlato del suo amore verso il calcio e di quanto sta succedendo in Iran.

Ciao Sanam, come stai? 

Buon pomeriggio a voi. Tutto bene, grazie.

Come abbiamo detto, tu sei un'arbitra. Hai deciso di lasciare l'Iran per seguire la passione sportiva o per altri motivi?

Io sono arrivata in Italia nel 2013 per motivi di studio. Non sono mai stata un’arbitra prima di venire qui. In Iran si poteva guardare il calcio tramite la tv o con il passa parola degli uomini. Se volevi seguire lo sport, a livello pratico i presupposti erano difficili, se pensi che noi donne dovevamo portare il velo. In Iran, dopo tanti anni, quando sei abituata ad avere il velo, sembra la normalità indossarlo, mentre è anomalo non indossarlo. Quando sono arrivata in Italia, inizialmente è stato tutto strano. Vedevo le persone in Italia libere e anche io ho iniziato una nuova vita. Non subito. Ho dovuto abituarmici, ma ad un tratto ho capito che quello che vivevo io in Iran non era la normalità. Attenzione. Non voglio dire che in Italia non ci siano problemi, ma voi (donne italiane, ndr) non avete vissuto gli obblighi del velo, del modo di vestire, del come ti devi comportare o di esprimerti. La situazione di una donna iraniana è davvero difficile.

Nel tuo paese di origine non avresti potuto esercitare questo mestiere, come hai anticipato, perché alle donne non è permesso. Come pensi di essere vista in Iran?

Non è che avessi paura, ma per anni ho nascosto la mia professione. Oggi tutti i miei parenti sono a conoscenza di questo, ma continuo a fare quello che sto facendo. E non solo, ho deciso di parlarne perché solo insieme qualcosa può cambiare.

A chi ti sei ispirata quando hai deciso di entrare nel mondo calcistico?

Quando ero piccola guardavo il calcio attraverso una piccola tv con il mio papà e i miei fratelli. Quindi sono cresciuta con il calcio. Io credo che sia stato il calcio a scegliere me e non io lui. Ora sono molto concentrata sul calcio, ma non so dirti il giorno preciso in cui mi sono avvicinata a questo mondo. È stata una procedura del tutto naturale ed io ero così piccola.

Il calcio ti rende libera?

Io oggi sono Sanam anche grazie alla mia passione, il calcio. Mi ha dato una direzione nella mia vita. Anche in tutti gli altri aspetti personali di me stessa. Sai, sono diventata molto precisa e molto decisa. Sono molto più sicura. Ho anche iniziato a parlare italiano grazie al calcio. Ma anche a difendermi.

Dal 16 settembre, da quando Masha Amini è stata arrestata e brutalmente uccisa dalla polizia iraniana perché indossava male il velo. Tu pensi che queste rivolte porteranno ad un cambiamento culturale?

Il cambiamento dipende da tutti noi. Anche delle persone iraniane che non vivono in Iran. Donne e uomini sono coesi in questa rivolta e dunque penso che questa rivolta sia destinata a un cambiamento culturale. Questa rivolta è diversa, io lo sento come iraniana. Questa volta c’è un livello di coesione tale per cui sia donne che uomini si muovono verso obiettivi comuni. Io non ho paura del Regime di ayatollah. Viceversa, il regime teme chi si istruisce, chi ha una cultura. Io non utilizzo la pistola, la mia arma sono i messaggi che io veicolo.

Ora andiamo in Qatar. Prima della partita tra Inghilterra ed Iran, i giocatori della nazionale iraniana hanno deciso di non cantare l'inno. Dagli spalti sono arrivati fischi e insulti. Cosa ne pensi?

Io amo il calcio, come hai ben detto. Quando vedo un pallone che si muove io mi emoziono. Stavo aspettando da così tanto tempo i mondiali, ma ho deciso di non vedere le partite dell’Iran nel momento in cui, allo scoppio delle proteste nel paese, nessuno si è posizionato. Io mi aspettavo che i calciatori non si presentassero in Qatar. Secondo me, in questo momento, non ha senso questo gesto. Ormai è tardi. Io ora ho chiuso tutte le porte, sono stata così male che non volevo neanche parlare di questa cosa. Io speravo che non andassero in Qatar. Per me erano degli idoli, è da questo che nasce la mia delusione. C’è stata una normalizzazione della guerra, prima dell’inizio dei mondiali, che io non ho condiviso. Il Qatar inoltre non è stata la migliore scelta. Non è un paese ospitale. È troppo repressivo. La maggior parte delle persone crede che il calcio sia uno sport inutile. Non è così, perché potrebbe veicolare messaggi in tutto il mondo.

Grazie Sanam.

Grazie a voi. 

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