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Salute

Lo studio di UniTo sul linfoma B del cane apre nuove possibilità di cura anche per l'uomo

La ricerca è coordinata dal Prof. Luca Aresu del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino

I ricercatori del dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Torino hanno idenfiticato per la prima volta le mutazioni genetiche presenti nel linfoma a grandi cellule (DLBCL), uno dei tumori più frequenti nel cane. Un risultato che rappresenta la prima descrizione del profilo genetico di questo tipo di tumore, considerato un buon modello per lo studio della stessa patologia nell'uomo: un enorme passo avanti nella comprensione dei meccanismi patogenetici del DLBCL e nell'identificazione di nuovi marker prognostici e terapeutici per il monitoraggio della malattia. Lo studio dell'Università di Torino, coordinato dal Prof. Luca Aresu, è stato pubblicato, in collaborazione con l’Università di Bologna e l’Institute of Oncology Research di Bellinzona, sulla prestigiosa rivista Nature, Lab Animal.

La malattina canina e quella umana sono molto simili

 I risultati ottenuti dal team di ricerca potrebbero portare a vantaggi che riguardano sia il cane che l'uomo, ma purtroppo, nonostante i grossi passi avanti nelle terapie del cane, tra cui la possibilità di usare un vaccino autologo in associazione al protocollo chemioterapico standard, il DLBCL rimane ancora troppo spesso non curabile. La malattia umana e quella canina sono molto simili e infatti diverse molecole, approvate da agenzie regolatorie per il trattamento dei linfomi umani, sono state provate prima in cani affetti da linfomi, dando ottimi risultati ma, fino ad oggi, mancava una analisi più approfondita dei meccanismi patogenetici alla base dello sviluppo del DLBCL del cane e un confronto con la controparte umana.

Terapie target

Da anni il Prof. Aresu dirige il “Canine Comparative Oncology Lab” al Dipartimento di Scienze Veterinarie conducendo studi nel campo della genetica, trascrittomica ed epigenetica dei tumori più frequenti e aggressivi nel cane. La ricerca si focalizza, in particolare, su caratteristiche istologiche, fenotipiche, molecolari e genetiche che sono alla base della predisposizione tumorale e patogenesi delle principali neoplasie del cane. Inoltre, i bersagli molecolari delle neoplasie più frequenti e aggressive sono studiati per ricercare terapie target.

Nel suo studio il gruppo di ricerca ha applicato tecniche di Next Generation Sequencing per studiare la parte codificante del DNA dei cani con tumore: un approccio nuovo che ha permesso di evidenziare come esistano delle similitudini con il DLBCL umano. Ma sono state messe in evidenza anche delle differenze, tra cui le mutazioni più frequenti che caratterizzano questo tumore. Infatti, i geni più frequentemente mutati nel cane (TRAF3, SETD2, POT1, TP53, FBXW7) sono alterati meno frequentemente nel DLBCL umano, come evidenziato in diversi studi degli ultimi anni in medicina umana.

Un modello predittivo

Proprio la disponibilità dei dati clinici e di follow-up ha permesso lo sviluppo di un modello predittivo da parte del Prof. Piero Fariselli del Dipartimento di Scienze Mediche di UniTo che è oggi disponibile online e che permetterà in futuro a veterinari e proprietari di cani con DLBCL di indirizzare la scelta terapeutica e potenzialmente avere una predizione sulla prognosi. A partire dall’autunno, infatti, lo screening genetico del TP53 sarà disponibile a livello diagnostico e rappresenterà il primo test genetico disponibili in oncologia veterinaria in grado di predire prognosi e guidare la terapia. I risultati dello studio appena pubblicato permetteranno di scegliere nel modo migliore quali nuovi approcci terapeutici siano più appropriati per studi sui cani.

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