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Glovo alla sbarra degli imputati, a Torino il processo contro il delivery: cosa vogliono i riders

A regolare il loro lavoro un algoritmo che li rende dipendenti a tutti gli effetti

Sono scesi dalla propria bicicletta, hanno poggiato il loro zaino termico a terra e sono entrati in tribunale. Così il mondo dei riders torinesi ha tentato di fare un altro passo in avanti nella tutela dei propri diritti. Un passo che potrebbe essere decisivo se i giudici torinesi dovessero dare ragione ai tre ciclofattori - assistiti dall'avvocata Silvia Ingegneri - che hanno intentato una causa contro Glovo, la nota azienda che permette la consegna a domicilio del cibo attraverso una fitta rete di riders. 

Questa mattina - mercoledì 19 ottobre - presso il tribunale di Torino è andata in scena la prima udienza di quello che potrebbe essere un processo storico. Se la magistratura dovesse dare ragione ai riders il mondo del delivery potrebbe essere costretto a rivoluzionarsi. Sì, perché la richiesta dei ciclofattorini è semplice: "noi non siamo semplici collaboratori, ma dipendenti a tutti gli effetti e vogliamo vedere garantiti i nostri diritti", dicono. 

A dimostrare il loro status di dipendenti ci sarebbe l'algoritmo del quale Glovo si serve per dirigere il lavoro dei ciclofattorini: "L'algoritmo è un paravento per il reale inquadramento del lavoratore. C'è un potere disciplinare dato dall'algoritmo che ci dà un punteggio a seconda di come lavoriamo", raccontano i riders della Cgil che sono in presidio fuori dal tribunale. 

"Se sono troppo lento a consegnare, se ricevo una valutazione negativa dal cliente, il mio punteggio si abbassa fino a che non mi viene bloccato l'account", continua il ciclofattorino, "L'algoritmo è lo strumento di controllo effettivo del datore di lavoro e rende il riders a tutti gli effetti un lavoratore dipendente. La mansione effettiva del lavoratore è subodirnata e quindi la collaborazione sostenuta da Glovo è fasulla". 

Il punteggio del riders va da 0 a 100 punti, meno se ne hanno meno si potrà lavorare, sostengono i ciclofattorini: "Il riders non è libero di scegliere nulla, perché qualsiasi azione fatta dal lavoratore è determinata dall'algoritmo", continuano, "Il punteggio è legato alla presenza, dunque al fatto di loggarsi in determinati orari; l'obbligo di lavorare nei momenti di picco, tipo il sabato e la domenica; la frequenza di riassegnazione, quindi a quante consegne vengono accettate e quante rifiutate". 

Dunque il rider che vuole lavorare, sostengono i sindacalisti, deve accettare condizioni di lavoro esasperanti. Senza contare un nuovo fenomeno che denunciano si stia propagando in città, quello del capolarato digitale: "Glovo ha implementato il riconoscimento facciale, ma basta una semplice fotografia per sbloccare l'account". 

Che significa? "Si crea il fenomeno tragico dello sfruttando tra gli sfruttati, perché avere un account è quasi una ricchezza. Ci sono ragazzi italiani che hanno un account - che hanno lavorato magari durante la pandemia - che adesso prestano il proprio account a un amico al quale chiedono una percentuale. L'app diventa un piccolo capitale. Una sorta di caporalato tecnologico". 

Tutti temi che sono stati messi sul piatto in tribunale e che se venissero giudicati come validi potrebbero costringere il mondo del delivery a una nuova regolamentazione. Perché il problema riguarderebbe tutti i gestori del servizio. 

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