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Materiali eco-friendly, il Politecnico di Torino e il Mit sviluppano un nuovo tessuto più sostenibile e fresco

L'utilizzo e la lavorazione delle fibre naturali spesso celano un alto impatto ambientale

Il Politecnico di Torino e il Mit insieme per lo sviluppo di un nuovo tessuto tecnico più ecologico e più fresco. Talvolta l'utilizzo di fibre naturali come cotone, lino o seta cela un alto impatto ambientale in termini di filatura, tintura e tessitura: i due atenei invece, hanno capito - grazie a processi di fabbricazione e modellazione computazionale chimico-fisica - come poter rendere tessuti tecnici più performanti e più sostenibili di quelli naturali. La ricerca, per metà torinese, dal titolo “Sustainable polyethylene fabrics with engineered moisture transport for passive cooling" è stata pubblicata su Nature Sustainability. 

Tessuti naturali: l'altro lato della medaglia

“L’impatto ambientale dei tessuti in fibre naturali è anche notevole durante il loro lavaggio, a causa della scarsa controllabilità delle caratteristiche chimiche e geometriche di queste fibre che porta a una richiesta energetica significativa sia in fase di lavaggio che di asciugatura”, spiegano Matteo Fasano, ricercatore del Multi-Scale ModeLing Laboratory - SMaLL del Dipartimento Energia al Politecnico di Torino e Pietro Asinari, docente del Dipartimento Energia e direttore all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, supervisori accademici del progetto.

“Infatti, la struttura micro- e nano-porosa delle fibre naturali permette all’acqua o al sudore di entrare al loro interno, rendendo più difficile la diffusione dell’acqua e dunque aumentando i tempi d’asciugatura. Questo effetto - hanno proseguito - è comunemente riscontrabile confrontando i tempi di asciugatura di una maglietta in cotone rispetto a quello di un capo sportivo, solitamente in PET o Nylon. Di conseguenza, se indossato durante l’attività fisica, un capo in fibre naturali non è in grado di trasportare efficacemente il sudore lontano dalla pelle e ne inibisce una pronta evaporazione, inducendo una sensazione di scarso comfort dovuto al contatto della pelle con il tessuto bagnato. Inoltre, una volta giunti a fine vita, i tessuti naturali colorati sono difficili da riciclare, venendo quindi spesso accumulati nelle discariche o bruciati, con un grande spreco di risorse.”

I tessuti tecnici: una valida alternativa

I tessuti in polietilene sono stati dunque individuati come una valida alternativa. Il polietilene è il materiale plastico con i più alti volumi di produzione al mondo (oltre 149 milioni di tonnellate all’anno) e si trova in oggetti di uso comune come imballaggi o contenitori alimentari, il più delle volte monouso. “Tacciato di nocività per l’ambiente, a conti fatti la produzione di tessuti colorati in polietilene ha un impatto ambientale inferiore del 60% rispetto a quelli in cotone - ha spiegato Svetlana Boriskina, coordinatrice della ricerca presso il MIT -. Le fibre in polietilene hanno inoltre basso costo e sono ultraleggere e la loro struttura può essere ottimizzata con precisione per modificarne le caratteristiche meccaniche, termiche e ottiche, ottenendo così elevata resistenza a rottura e abrasione e ottima dissipazione del calore".

In aggiunta, i pigmenti colorati tipici dello “sporco” aderiscono con difficoltà alla superficie delle fibre in polietilene grazie alla loro semplice struttura molecolare, risultando in proprietà antimacchia che ne semplificano il lavaggio a basse temperature. L’industria tessile ha però per lungo tempo trascurato l’impiego del polietilene nel vestiario, a causa della scarsa traspirabilità e bagnabilità delle fibre che risulta poco confortevole.

Le prestazioni del nuovo tessuto

I ricercatori del Politecnico hanno potuto lavorare direttamente all’interno del polo tecnologico di Boston grazie al progetto MITOR finanziato dalla Compagnia di SanPaolo finalizzato a promuovere collaborazioni tra le due istituzioni. Per migliorare l’aspetto di comfort del capo di abbigliamento, la ricerca si è concentrata sull’ingegnerizzazione delle proprietà di trasporto dell’acqua nel tessuto, caratterizzando l’effetto di diversi intrecci e ottimizzando la geometria delle fibre di polietilene.

“Agendo sul processo di fabbricazione - ha spiegato Matteo Alberghini, dottorando presso il Dipartimento Energia e il CleanWaterCenter del Politecnico, primo autore dell’articolo pubblicato -, è possibile modificare le caratteristiche chimiche superficiali e la forma delle fibre, controllando la bagnabilità e le proprietà capillari finali del tessuto, ossia la sua capacità di assorbire e trasportare un fluido al suo interno. Le ottime prestazioni raggiunte dal nuovo tessuto studiato sono dovute alla capacità delle fibre di polietilene di trascinare l’acqua sulla loro superficie pur rimanendo impermeabili, quindi impedendo al fluido di insinuarsi all’interno delle fibre stesse, cosa che invece accade di norma con quelle naturali”

Una ricerca che ha gettato le basi per continuare a sviluppare la tematica: il prossimo studio, infatti, si focalizzerà sul combinare le proprietà capillari di questi innovativi tessuti con le loro proprietà ottiche. Infatti, la forma geometrica delle fibre di polietilene determina come esse interagiscano con la luce solare, ossia il loro assorbimento o riflessione. In questo modo la microstruttura del tessuto potrà contribuire passivamente al controllo della temperatura del corpo, riscaldando o raffrescando il suo utilizzatore a seconda dei casi. Siccome le proprietà capillari e quelle ottiche sono determinate dalla forma delle fibre e dalla tessitura, si sta investigando l’effetto combinato di questi due fenomeni, con possibili applicazioni non solo in campo tessile ma anche industriale.

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