
Si propone, sette anni dopo, come il seguito ideale di La meglio gioventù, l'Italia confusa di questi anni vista dalla lente di ingrandimento del privato. Un esempio di miniserie nata per la televisione ma stilisticamente ai confini con il cinema, diretta da Gianluca Tavarelli, autore delle fiction di grande qualità e audience come Paolo Borsellino o Maria Montessori. Le cose che restano è la storia di una famiglia che si divide e di una casa che si svuota, a seguito di un evento doloroso. Ma è anche la storia di come, a poco a poco, la famiglia e la casa ritrovano vita e senso, lasciandosi abitare - e contaminare - da nuove esistenze. Nora (Paola Cortellesi), Andrea (Claudio Santamaria), Nino (Lorenzo Balducci) e il padre Pietro (Ennio Fantastichini) reagiscono con fatica e coraggio al disorientamento che li colpisce, cercando - fuori e oltre la famiglia - altri mondi, altri amori, altre spinte a vivere. Accanto ad essi si muovono i nuovi cittadini italiani, uomini e donne tra i venti e i quaranta anni, presi nel giro del lavoro che c'è e non c'è, della responsabilità e della moralità che si appannano, delle guerre che combattiamo senza dire che le combattiamo, dei popoli che vengono a noi dalla povertà e ci interrogano, come capita con Alina (la rivelazione Leila Bekhti) e Shaba (Farida Rahouadj). Una lunga maratona in quattro capitoli, una storia che cerca di raccontare chi siamo, cosa siamo diventati, e cosa non vogliamo più essere. Così, questa famiglia che confusamente resiste e faticosamente si ricompone, si fa simbolo di un intero paese alla ricerca di una nuova identità. Con Antonia Liskova, Francesco Sanna, Vincenzo Amato.