"Tutta la vita è lontano. Riscoprire Carlo Levi a 120 anni dalla nascita", le fotografie al Circolo Lettori
Camera - Centro Italiano per la Fotografia è lieta di collaborare al progetto “Tutta la vita è lontano. Riscoprire Carlo Levi a 120 anni dalla nascita” insieme alla Fondazione Circolo dei lettori, alla GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e al Museo Nazionale del Cinema. La mostra è visitabile dal 9 al 28 febbraio 2022 al Circolo dei Lettori.
Siamo felici - commenta il direttore di Camera, Walter Guadagnini - di partecipare a questa importante iniziativa in onore di una grande personalità della cultura e della storia italiane come Carlo Levi, e di poterlo fare in sinergia con altre importanti istituzioni culturali della città con le quali abbiamo già collaborato e insieme alle quali continueremo a proporre attività e progetti, in un’ottica fruttuosa per tutti: quella dell’interazione di esperienze e competenze.
Nello specifico, Camera ha collaborato alla mostra fotografica "La Lucania nelle fotografie di Mario Carbone per Carlo Levi. Una testimonianza di vita, dell’esistenza di un mondo vero, fuori dalla storia e dai suoi orrendi risultati" - a cura di Elena Loewenthal e Luca Beatrice, che raccoglie 31 fotografie scattate da Mario Carbone, provenienti dall’Archivio fotografico Mario Carbone Roma, e che è ospitata in Sala Lettura, al Circolo dei Lettori di Torino.
Nel 1960, in occasione della grande mostra organizzata a Torino per le celebrazioni del primo centenario dell’Unità d’Italia, Mario Soldati individua in Carlo Levi l’artista più adatto a rappresentare la Basilicata all’interno dei padiglioni regionali, committenza dalla quale nasce l’imponente Telero ora esposto alla GAM all’interno della mostra “Viaggio in Italia. Luoghi e volti”. Prima di iniziare a dipingere, Levi decide di tornare in Lucania, terra nella quale aveva trascorso diciotto mesi di confino quasi trent’anni prima. Ad accompagnarlo nel suo viaggio c’è l’amico fotografo Mario Carbone.
I paesaggi esplorati in questo frangente appartengono alla stessa Italia rurale che negli anni Cinquanta era stata la palestra della fotografia neo realista e di stampo antropologico, ripresa però da Carbone con un atteggiamento diverso, verrebbe da dire più confidente: non c’è la curiosità e l’acribia dell’antropologo, né la volontà di denuncia di una fotografia di stampo politico, c’è piuttosto l’adozione di uno stile documentario di matrice statunitense, derivato dall’esemplare esperienza di racconto della Grande Depressione portata avanti negli anni Trenta dalla Farm Security Administration.
Nelle circa quattrocento fotografie che compongono questo ciclo, Carlo Levi appare come l’attore protagonista, il deus ex machina dell’intera vicenda: una figura che oggettivamente si differenzia dalle altre presenti negli scatti, per le fattezze ma soprattutto per l’abbigliamento; il punto di riferimento verso il quale sono attratti gli sguardi e le attenzioni degli altri individui presenti nelle inquadrature, una sorta di catalizzatore attorno al quale si sviluppa la narrazione. Ma, allo stesso tempo, è opportuno notare come tale condizione non porti con sé un senso di estraneità, ma di confidente compresenza; è facile percepire in queste fotografie la sensazione di una familiarità, di un reciproco rispetto, sensazione alla costruzione della quale Carbone contribuisce in maniera decisiva elaborando una strategia visiva fondata sulla narrazione del quotidiano, dell’ordinario (mentre straordinario è il momento, preludio a un eccezionale evento di pittura che sta per avere luogo).
È l’umiltà del fotografo a rendere visibile la naturalezza del rapporto tra l’intellettuale e i paesani, è la natura del documentarista conscio di quanto il suo lavoro sia testimonianza che si può fare interpretazione solo se rimane fedele alla realtà; una realtà che deve, però, essere ordinata dallo sguardo, dalle scelte dell’autore.