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Cronaca Via Parco della Rimembranza

La Vittoria Alata: i misteri e il fascino stile Dan Brown della statua più alta di Torino

Il suo raggio di luce ha stuzzicato la fantasia di milioni di bambini, ma anche la storia del Faro in collina è ricca di particolari intriganti e degni di un romanzo

Qualche anno fa, quando le luci sulla collina erano molte meno, era frequente scorgere un fascio luminoso rivolto dall'alto verso la città. Molti bambini, nel corso degli anni, avranno sognato un Batman sabaudo (un Sabautman?) mandare il suo segnale e vegliare sulla tranquillità dei torinesi.

Ma bastava chiedere ai più grandi per ricevere una risposta tanto giusta quanto “deludente”: quel raggio di luce non era un segnale di supereroi o alieni, ma il faro della Vittoria Alata sul Bric della Maddalena.

La statua che contiene il faro e restaurata nel 2013, del resto, potrebbe tranquillamente fare bella figura in un fumetto, oppure anche in un romanzo o film alla Dan Brown: posta sulla cima più alta di Torino (715 m), sovrasta la città da quasi 90 anni, e la sua storia rivela numerosi dettagli intriganti.

Fu issata nel Parco della Rimembranza nel 1928: erano passati dieci anni dalla vittoria dell'Italia su Austria e Germania nella prima guerra mondiale. Tutto il parco risalente al 1923, come indica il suo nome, rappresenta un ricordo di quella guerra e dei soldati italiani caduti, a cui furono dedicati gli alberi piantati, e nella facciata del basamento in granito di 8 metri fu incisa l'epigrafe di un uomo simbolo della partecipazione alla guerra per riportare in Italia Trento e Trieste (e Fiume): Gabriele D'Annunzio.

La dedica del Vate è

“Alla pura memoria / all'alto esempio / dei mille e mille fratelli combattenti / che la vita donarono / per accrescere la luce della patria” fa quindi parte del tipico linguaggio epico dannunziano. Nelle parole successive c'è invece un riferimento preciso a Torino, quando vengono citati “gli operai di ogni opera / dal loro capo Giovanni Agnelli / adunati sotto il segno / di quella parola breve / che nella Genesi / fece la luce”.

La parola breve è Fiat, sigla di Fabbrica Italiana Automobili Torino ma anche parte dell'espressione biblica, contenuta all'inizio della Genesi e citata dal Vate al termine dell'epigrafe: “Fiat lux: et facta est lux nova”, ovvero “Venga la luce: e (nuova) luce fu”.

Il riferimento ad Agnelli e Fiat era in un certo senso obbligato: la statua celebrativa del decennale della vittoria bellica era stata commissionata al noto scultore Edoardo Rubino nel 1927 da Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat e nonno dell'Avvocato. L'artista diede vita a una Vittoria Alata, che guarda in alto e sorregge una fiaccola che ospita il faro puntato sulla città. Per portarlo lassù fu trasportato di notte, con l'aiuto delle ferriere Fiat e sotto la sorveglianza dell'azienda di trasporti municipali, incaricati tra le altre cose di sollevare i cavi del tram al passaggio dei tre tronconi di monumento.

Per capire quanto importante fosse il valore simbolico di questa installazione, basti pensare che con i suoi 18,5 metri (basamento escluso) era all'epoca la più grande statua interamente in bronzo del mondo. Non solo: tre anni prima del Cristo Rey di Rio de Janeiro e molto prima di tante altre più recenti, all'epoca era una delle più alte statue del mondo dopo la Statua della Libertà. In Italia, a svettare con 22 metri è la Statua del Redentore di Maratea (1965), seguita dal Colosseo di San Carlo Borromeo ad Arona (1698, alta 20,7 m) e poi dal nostro faro cittadino.

L'INAUGURAZIONE “IN INCOGNITO” - Decennale della vittoria nella Grande guerra, Agnelli, Fiat, D'Annunzio, statua da record: gli elementi per un'inaugurazione solenne in grande stile c'erano tutti. La date prescelta era il 24 maggio, quella in cui nel 1915 “il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti”. Invece, proprio in quei giorni un grave lutto colpì la famiglia Agnelli; era morta a soli 38 anni Caterina detta Aniceta Agnelli: figlia del Senatore Giovanni, sorella di Edoardo e quindi zia di Gianni, Umberto, Clara e Susanna, moglie di Carlo Nasi.

A differenza del fratello minore Edoardo, morto nel 1935 in un incidente con l'idrovolante, non sono note le cause né la data precisa della prematura scomparsa di Aniceta Agnelli Nasi: a lei e a suo fratello furono dedicati pochi anni dopo due degli edifici più amati da generazioni di ragazzi torinesi, per altri motivi. Quel che si sa è che a causa di questo lutto la famiglia Agnelli annullò la cerimonia di inaugurazione della statua prevista per il 24 maggio 1928.

A livello ufficiale, la consegna della statua alla comunità avvenne la mattina del 4 giugno: nessun taglio del nastro, nessuna fotografia di rito o discorso davanti ad autorità, giornalisti e pubblico. A firmare il verbale di consegna l'ufficiale Carlo Charbonnet per il senatore Agnelli e Giorgio Scannagatta per la Città di Torino, insieme all'autore Edoardo Rubino, Giuseppe Debenedetti e Emilio Giay. L'inizio in incognito di una storia che da allora ha scatenato le fantasie di milioni di bambini.

(Foto di Luigi Capozzi)
 

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