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Cronaca

14enne ruba merce per 800 euro poi denuncia i parenti: condannati il padre, i nonni e gli zii

"Mi picchiavano per obbligarmi ad andare a rubare"

Sono stati condannati anche in appello il padre, i nonni e gli zii della ragazzina rom che nel 2018, dopo decine di furti “su commissione”, aveva deciso di cambiare vita denunciando i familiari per maltrattamenti. Martedì 21 novembre la Corte d'Appello presieduta dal giudice Flavia Nasi ha sostanzialmente confermato l'impianto accusatorio e inflitto una pena di 2 anni e 4 mesi a tutti gli imputati. Il collegio d'appello ha concesso a tutti le attenuanti generiche, che erano state negate dai giudici di primo grado per via dei precedenti penali e dell'assenza di consapevolezza o pentimento. Nel 2018 la ragazzina, allora 14enne, si era recata in una caserma dei Carabinieri due giorni dopo aver rubato 800 euro di merce al centro commerciale Le Gru di Grugliasco e aveva raccontato di essere stata obbligata dai familiari.

A quel punto era stata presa in consegna dai militari ed era stata attivata la procedura per l'allontanamento dal nucleo familiare, poi disposto dal giudice anche sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla ragazza agli operatori del Regina Margherita. Da quel momento in poi, fino alla maggiore età, la giovane ha vissuto in comunità e al padre è stata revocata la potestà genitoriale. Agli inquirenti ha raccontato che lei e i suoi fratelli più piccoli venivano spediti nei centri commerciali della zona con il compito di rubare vestiti o cibo, dopo la scuola e a ritmo quasi quotidiano. In qualche caso, poi, la “banda” avrebbe compiuto dei furti in abitazione (a cui però gli inquirenti non hanno trovato riscontro) con l'aiuto di chiodi e altri arnesi da scasso, grazie alle tecniche apprese dagli adulti della famiglia. Quando però il colpo non andava a buon fine e i bambini venivano sorpresi, venivano ripagati con le botte: “Ci sgridavano, papà si arrabbiava e ci picchiava”, ha riferito la ragazza a dibattimento (dov'è assistita dall'avvocato Roberto Saraniti), parlando di schiaffi, calci e anche bastonate.

Come punizione per non essere stata abbastanza brava nell'esecuzione dei furti o nella fuga, la minore sarebbe stata obbligata a fare le pulizie e altri lavori pesanti o a saltare la cena. Dai colloqui con lo psichiatra era emerso un quadro di sofferenze sia all'interno della famiglia, dove veniva stigmatizzata per non essere in grado di contribuire come gli altri alle spese per il ménage, sia a scuola, dove non aveva amici e subiva il pregiudizio dei compagni per via dell'etnia rom. A dibattimento però i familiari avevano negato qualsiasi abuso, sostenendo che la ragazza fosse malata e animata da “spirito persecutorio” come reazione all'abbandono della madre in tenerà età. Tuttavia già i giudici di primo grado avevano ritenuto “genuina e autentica” la sua versione e hanno escluso qualsiasi volontà di calunniare i familiari, come aveva sostenuto la difesa.

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