Addio alle immagini spettacolari di Alberto, che aveva unito la fotografia e la montagna
Lascia i genitori e tre fratelli
Alberto Miserendino, fotografo di Giaveno, aveva soltanto 22 anni e aveva unito le sue grandi passioni, le immagini e la montagna. E' morto il 6 gennaio 2019 insieme all'amico Gabriele Boetti nell'incidente avvenuto sulla cima Cristalliera, a Roure, sul massiccio dell'Orsiera-Rocciavré.
Viveva con il padre Giuseppe, la madre Alda, la sorella Francesca, i fratelli Stefano e Cristian in una casetta su due piani nella zona di Ruata Sangone, insieme al suo inseparabile border-collie Leila.
I suoi due profili di Facebook (quello privato e quello lavorativo) sono uno spettacolo, con immagini mozzafiato di vette, cieli e panorami. Era appassionato anche di speleologia. Chi lo conosce lo descrive come "uno spirito libero". Aveva lavorato anche nello studio del pittore Antonio Nunziante, aveva vissuto a lungo all'estero, in Francia e in Spagna. Da due anni era iscritto alla sezione del Cai di Giaveno.
“Ho iniziato ad apprezzare la fotografia - scriveva sulla sua pagina ufficiale - perché papà aveva una analogica. Mi piace scattare quando sono felice, ma felice davvero, forse perché mi piace ricordare cosa i miei occhi hanno visto (e immaginato qualche volta) in quel momento; fatto sta che per portarsi chili di attrezzatura tutti i giorni in giro è complicato, quindi il mio inconscio ha deciso che sono generalmente più felice quando sono ‘in montagna’, motivo per cui molti scatti sono in paesaggi montani. "Quello per le vette invece - aggiungeva - è un amore che ancora non comprendo, probabilmente per desiderio di scalarle, ma non sono un grande alpinista. Nel frattempo penso cosa scrivere nella mia biografia. Non so. Forse voglio vedere e provare ancora troppe cose nella mia vita, ergo qua finisce la mia biografia. Intanto mi sto godendo la vita che è la meglio cosa”.
"Un ragazzo intelligente e buono. Ci mancherà", scrive una sua conoscente su Facebook.
"Ci piace pensare - scrive il gruppo speleologico di Giaveno - di essere una grande famiglia ed Alberto era davvero il nostro fratellino più giovane, la nostra mascotte. Il suo sorriso sornione e la sua gioia di vivere ci avevano contagiati subito: gli abbiamo voluto bene dal primo giorno. Lo chiamavamo 'John Wayne' perché conosceva a memoria alcune battute di un film e si divertiva a recitarle durante le uscite in grotta. A lui piaceva quel nome, tanto da aggiungere un tatuaggio sulla sua mano: JW”.