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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca San Donato

Morte di Ettore Treglia, per i giudici "omicidio e abuso di alcol sono ugualmente plausibili, ma resta l'incertezza"

Ecco perché la Corte d'assise ha assolto la moglie

A uccidere Ettore Treglia, trovato morto il 5 aprile 2021 in un alloggio del quartiere San Donato, potrebbe essere stato un mix di alcol, ansiolitici e cannabis. Ma anche le loro conseguenze, come per esempio la difficoltà a cambiare posizione per riuscire a respirare meglio (asfissia da posizione). O ancora a causa di un problema cardiaco pregresso, che nessuno è stato in grado di accertare. Ma anche per un raro caso di “stimolazione vagale”, ovvero di un recettore che fa rallentare i battiti del cuore e a volte può fermarlo del tutto. Tutte ipotesi “dotate di plausibilità pari o superiore a quella di un omicidio”, di cui era accusata la moglie Gaia Prencipe. È questa la conclusione a cui è arrivata la Corte d’Assise di Torino, che lo scorso 12 luglio ha assolto la 49enne da tutti gli addebiti "perché il fatto non sussiste". Per lei il pm Paolo Cappelli aveva chiesto l’ergastolo, ipotizzando che avesse strangolato o soffocato il marito dopo una lite, spinta dalla gelosia. Le indagini infatti avevano portato a galla una convivenza difficile, segnata da continue liti e violenze fisiche che avevano richiesto l’intervento delle forze dell’ordine e cure mediche. Ma agli atti sono finiti anche i messaggi che Treglia aveva mandato all’amante poche ore prima di morire: “Se mi trovano morto è stata mia moglie”, “Sto prendendo botte”, “Ha cercato di strangolarmi” e “Se domani non mi sentirai sai chi denunciare”. Per la Corte presieduta dalla giudice Alessandra Salvadori tuttavia non si può dire con certezza che Treglia sia stato ucciso.

I messaggi all’amante

Nel 2020 la moglie aveva scoperto le chat del marito con diverse amanti, che aveva contattato per convincerle a troncare la relazione. L’unica rimasta in piedi era quella con una “vecchia fiamma pugliese”, colei che il 7 aprile denuncerà ai carabinieri la morte del 50enne mostrando le chat che lasciano ipotizzare un delitto. Proprio questo tira e molla con l’amante (che, diversamente dall’imputata, si rifiutava di mantenerlo) aveva portato all’esasperazione la moglie, procurandole una grave depressione. A dibattimento la figlia ha riferito che il padre invece si era dato all’alcol, nonostante i molti problemi di salute. Nel 2013 era stato operato per un tumore alla laringe e da allora si nutriva con un sondino. Inoltre era un fumatore incallito, beveva e soffriva di enfisema polmonare. Agli atti è finito anche il resoconto delle 48 ore precedenti alla morte: il 3 aprile un litigio furibondo tra i coniugi aveva richiesto l’intervento degli agenti e la moglie era stata ricoverata in ospedale. L’imputata ha raccontato anche che, una volta dimessa, aveva respinto un tentativo di rapporto sessuale sul divano facendo forza con le mani sul collo, sulle spalle e sul torace del marito, che era in preda ai fumi dell’alcol. 

La perizia inutilizzabile

Il dibattimento si è aperto con un colpo di scena: la Corte ha dichiarato inutilizzabili gli accertamenti tecnici svolti durante le indagini, compresi l’autopsia e l’esame tossicologico, perché l’imputata (allora solo indiziata della morte del marito) non ne era stata informata e non aveva avuto l’opportunità di assistere, con violazione del diritto alla difesa. Dal dibattimento perciò è uscita la ‘prova regina’ dell’accusa, ovvero la consulenza che avvalorava l’ipotesi dello strangolamento. Una lacuna probatoria colmata da un’altra perizia disposta d’ufficio dai giudici, che ha indagato nuovamente le cause della morte partendo dagli esiti degli esami e dalle fotografie scattate dal medico legale. Ma che ha dovuto ugualmente fare i conti con accertamenti medici giudicati “non del tutto esaurienti” e con le “circostanze del tutto peculiari” del decesso. 

Le motivazioni della sentenza

Secondo i giudici, la sera del 3 aprile Ettore Treglia presentava una “grave intossicazione da alcol e psicofarmaci”: aveva in corpo una quantità di alcol che da sola bastava a ucciderlo, ma in più “aveva assunto cannabis e un farmaco idoneo a potenziare gli effetti depressivi dell’alcol”. Inoltre era “un soggetto in condizioni fisiche pessime” e con una situazione polmonare “tipica di un fumatore enfisematoso”. In questo quadro, l’incertezza sulle cause delle morte “non può ritenersi superata nemmeno dalla perizia medico-legale”, che pure accredita la tesi di un’“asfissia meccanica, verosimilmente da strozzamento”.

Treglia era incosciente? Se lo era, come si giustificano le lesioni frutto di “un’azione aggressiva piuttosto disordinata”, come sostenuto dal perito d’ufficio dottor Testi? Viceversa, Treglia era lucido e ha reagito a un tentativo di soffocamento? I lividi sul corpo fanno pensare a una colluttazione. Ma, se così fosse, perché non ci sono anche le tipiche “petecchie” (piccole emorragie) sul collo? In conclusione, scrivono i giudici, il quadro istologico e le lesioni “finiscono con l’escludersi a vicenda”. Non solo: lo stesso quadro si può trovare “anche in casi di morti improvvise di origine cardiaca” e in particolare di “scompenso di cuore acuto”, mentre i lividi possono essere ricondotti a “lesioni traumatiche accidentali” o “urti precedenti”. A questo si aggiunge il fatto che Treglia inviò dei messaggi all’amante intorno alle 2.48 di notte, segno, secondo la Corte, che in quel momento non stava subendo un’aggressione da parte della moglie. E siccome l’ora esatta della morte non si conosce, le ore notturne rimangono in un cono d’ombra. 

Le ultime considerazioni dei giudici sono sul temperamento della vittima. Un soggetto “particolarmente propenso a inventare, mentire, ingigantire i dati di realtà”, le cui parole “perdono di ogni minima credibilità” se si guarda alle continue menzogne che raccontava all’amante. In sostanza, Treglia “cercava di rendere più accettabile la sua esistenza” creando “una realtà romanzata” condita di “palesi esagerazioni”, “mistificazioni e falsità” nel tentativo di stare con due piedi in una scarpa. Non voleva perdere il sostegno economico della moglie, ma nemmeno la “vecchia fiamma” di cui si diceva perdutamente innamorato. E per i giudici il conflitto tra i coniugi è una “circostanza pacifica, di per sé non indicativa di alcuna intenzione e tantomeno azione omicidiaria”. Per tutti questi motivi, scrivono, è assolutamente impossibile stabilire se Ettore Treglia sia morto per mano di altri e non invece per le conseguenze di un’intossicazione. 

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