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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Lettera aperta di un dirigente Thyssen: "Non sono un assassino"

Pucci, condannato a 13 anni e mezzo di reclusione per il rogo di Torino, scrive una lettera aperta alla stampa: "Sono vittima di un enorme errore giudiziario, di un processo mediatico"

Marco Pucci, consigliere delegato della Thyssenkrupp Acciai speciali Terni per commerciale e marketing, condannato a 13 anni e mezzo di reclusione per il rogo di Torino, scrive una lettera aperta alla stampa: "Non sono un assassino, sono soltanto vittima di un enorme errore giudiziario, di un processo mediatico, piuttosto che di un processo giusto, che non ha minimamente preso in considerazione le tantissime ragioni e prove a discolpa portate dalla difesa".

Fa ancora discutere la sentenza emessa il 15 aprile dal tribunale di Torino. "Sono un assassino e non sapevo di esserlo" le parole con cui si apre. Pucci si dice "assolutamente fiducioso" che la sentenza "verrà ribaltata" in appello. "Sono un assassino - scrive il dirigente -, ma non ero considerato tale quando, subito dopo il drammatico incidente di Torino andai in quella città, che non era usualmente meta della mia attività, ed in quello stabilimento, che non avevo mai visto prima. Andai a Torino per portare il cordoglio, della nostra società, ai familiari delle vittime tragicamente scomparse. Nessuno mi considerava un assassino, tutti mi accolsero con garbo e con parole di comprensione".

Pucci parla poi di un "tam tam mediatico" che "ha cominciato, a senso unico ed in modo assordante, ad inculcare nella coscienza collettiva che i manager della multinazionale tedesca erano tutti degli assassini ed in questo vortice mediatico, io e i miei colleghi, siamo diventati degli assassini". Pucci sostiene poi che secondo la ricostruzione accusatoria, come consigliere delegato avrebbe preso decisioni congiunte con altri due colleghi del Consiglio di amministrazione in merito agli investimenti ed alla sicurezza dello stabilimento di Torino. "Nell'ambito di un 'sedicente' comitato esecutivo - afferma -, che, né al tempo del tragico incidente né dopo, esisteva ed esiste".

Non si dà pace il consigliere delegato della Thyssen: "Mi chiedo, alla luce della condanna inflittami - prosegue il dirigente -, quale è la mia colpa? Mi chiedo, se l'incidente fosse accaduto in una fabbrica non destinata a chiudere, le accuse e la condanna sarebbero state le stesse? Mi chiedo, se fosse stata coinvolta un'azienda italiana al posto di una multinazionale tedesca, l'esito del processo sarebbe stato lo stesso?". il dirigente chiede infine di avere, "fin dal prossimo grado di giudizio, un ambiente sereno, senza l'assurda amplificazione mediatica che ha accompagnato il giudizio di primo grado". "Perché quello che tutti ci aspettiamo - conclude Pucci -, e lo dobbiamo soprattutto alla memoria dei sette ragazzi deceduti, é che venga fatta giustizia, quella vera".

Fonte: Ansa

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