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Cronaca

Delitto Bruno Caccia, il mandante Belfiore ai domiciliari dopo 32 anni

Nel 1983, l'allora procuratore di Torino fu freddato da un commando di quattro persone mai identificate. Il legale della famiglia Caccia ha chiesto la riapertura del caso e suggerito diverse piste da seguire: i nomi sono legati alla criminalità siciliana

Oggi, dopo 32 anni di carcere e una sentenza che lo inchioda nel ruolo di mandante dell'omicidio di Bruno Caccia - ucciso il 26 giugno del 1983 -, Domenico Belfiore è stato mandato ai domiciliari. Il motivo sono le gravissime condizioni di salute dell'uomo.

Quello di Caccia fu un omicidio attribuito alla 'ndrangheta del Nord Italia che freddò, tramite quattro uomini che non furono mai individuati, a colpi di pistola l'allora procuratore di Torino, determinato e intransigente, al quale è stato intitolato il Palazzo di Giustizia torinese.

Se i nomi del commando che eseguirono l'attentato sono ancora sconosciuti, al mandante però si riuscì a risalire. Nato in Calabria 63 anni or sono, Belfiore sta scontanto l'ergastolo inflittogli dai tribunali di Milano e fino a ieri era in regime di 41 bis. Nel mese di aprile, nel penitenziario di Sulmona, gli è però stato diagnosticato un male incurabile ed è già stato sottoposto a interventi chirurgici che però non ne hanno migliorato le condizioni.

Belfiore dunque andrà a stare dai parenti che vivono nella cintura nord di Torino, dalle parti di Chivasso. La famiglia Caccia pensa però che nel delitto ci siano ancora molti aspetti oscuri, per questo Fabio Repici, loro avvocato di fiducia, ha chiesto alla procura di Milano, la riapertura del caso. Il legale avrebbe anche suggerito le piste da seguire, facendo nomi e cognomi di alcuni personaggi noti, dei clan siciliani e calabresi. 

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