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Martedì, 26 Settembre 2023
Cronaca Orbassano / Regione Gonzole, 10

Morto dopo sette ore di attesa al pronto soccorso di Orbassano: condannato l'infermiere, "sbagliò il triage"

Per tre volte assegnò al paziente un codice verde, con uno giallo questo sarebbe stato visitato dopo 20 minuti

Si è concluso oggi, martedì 19 luglio 2022, il processo per la vicenda del 63enne italiano morto al pronto soccorso dell'ospedale San Luigi di Orbassano a causa di un aneurisma addominale nel marzo 2019 dopo che per tre volte l'infermiere del triage lo classificò come codice verde per tre volte, nonostante le insistenze e le preoccupazioni del figlio del paziente. Il sanitario, italiano di 35 anni difeso dagli avvocati Gino e Pietro Obert, è stato condannato a otto mesi di carcere (con sospensione condizionale della pena) per omicidio colposo. L'accusa nel processo è stata sostenuta dal pm Giovanni Caspani della procura di Torino, che ha sostenuto che da parte dell'infermiere vi fosse stata negligenza, in quanto anche la semplice assegnazione di un codice giallo avrebbe ridotto il tempo di attesa a soli 20 minuti, mentre in quel caso questa fu di sette ore.

Il Nursind solidale con l'infermiere: "Si lavora a ritmi massacranti"

Il Nursind, sindacato degli infermieri, è solidale con il condannato: "Non vogliamo entrare nel merito del lavoro della magistratura che farà il suo corso nei diversi gradi di giudizio - dichiara il segretario regionale Francesco Coppolella - e neanche mancare di rispetto a chi ci ha rimesso la vita ma vogliamo testimoniare come, ogni giorno, ogni infermiere che si trovi nelle stesse condizioni corre questo rischio per un sistema che non garantisce da tempo condizioni accettabili in grado di poter operare in sicurezza".

"Continuare a lavorare in Pronto Soccorso, a queste condizioni, è una missione suicida - scrive Luca Zanotti, infermiere che lavora proprio al San Luigi -. Sempre più persone si rivolgono ai Dipartimenti emergenza e accettazione (Dea) poiché non trovano risposta dal proprio medico di medicina generale e dalle strutture ambulatoriali disponibili sul territorio. Nonostante il considerevole cambiamento gli organi dello Stato, le Regioni e le stesse direzioni generali ospedaliere non hanno riorganizzato confacentemente i Dea con l’adeguamento delle nuove richieste della comunità (ad esempio: implementazione del personale per turno, creazione di percorsi alternativi, ecc…). Il risultato è sotto gli occhi di tutti: pazienti esasperati dalle lunghe attese, personale insufficiente che lavora con ritmi tipici delle catene di montaggio, che cerca, con acrobazie e voli pindarici, di 'rattoppare' una nave che imbarca acqua da ogni parte, giorno dopo giorno.
Ed ecco come ci si ritrova a dover svolgere la funzione di triage (per altro, competenza propria infermieristica non indennizzata): registrando, valutando e rivalutando, in media, 85 persone ogni turno di lavoro oppure dover gestire l’irrisolvibile problema del 'boarding' (ovvero l’accumulo dei pazienti nei pronto Soccorso per mancanza di posti letto nei reparti di degenza, con rapporto infermiere-paziente che sfida ogni legge oltre che il buon senso: un infermiere ogni 20 assistiti). Noi non ci stiamo più! Passare per carnefici ed assassini quando siamo vittime noi stessi di un sistema che non tutela più i professionisti che con passione, dedizione, responsabilità, studio ed aggiornamento continuo cercano di tutelare, con vincoli e ritmi frenetici, la salute delle persone assistite. Continuare a lavorare in pronto soccorso, a queste condizioni, è una missione suicida e per tale motivo valuteremo l’opportunità di richiedere, in massa, il trasferimento in altro servizio".

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