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Storie

Lo chef Davide Scabin: “Vi racconto la cucina piemontese e perché è così speciale”

Il punto di vista del cuoco da decenni più rivoluzionario di Torino su classici intoccabili e ricette popolari da recuperare. Tra ricordi domestici, saperi da conservare e piatti sorprendentemente moderni

Imprevedibile, istrionico, creativo nel senso più concreto del termine. Il lavoro di chef Davide Scabin è partito quasi da autodidatta per accelerare negli anni, nutrendosi della tradizione piemontese ma senza esitare dinnanzi a capovolgimenti e cambi di prospettiva. Un punto di vista accurato e autorevole, il suo sul patrimonio gastronomico regionale fatto di ricette note e opulente, ma anche di piatti domestici, che nascono in economia e arrivano a soluzioni modernissime. Il cuoco del mitico Combal.Zero — oggi al Ristorante Carignano e bistrot Carlo e Camillo del Grand Hotel Sitea di Torino — ci ha raccontato tutto, tra ricordi di casa ed effetti collaterali dell’Italian sounding.

Davide Scabin

Agnolotti, vitello tonnato, bonet. Ma partiamo da qualche ricetta più laterale, che magari andrebbe recuperata. Sono tante?

Sì, certo, basta sfogliare il Vialardi, il Cuoco piemontese formato a Parigi, La cuciniera Piemontese o il più recente ricettario piemontese di Molinari Pradelli, e si renderà conto di quante potrebbero essere. Importantissimo non perderle.

Pensa siano in pericolo? Come mai?

Non sono in pericolo le ricette, ma la conoscenza della storia del gusto. È un concetto che ribadisco da anni: senza abbracciare inutili allarmismi però non posso non constatare che oggi c’è una relazione inversamente proporzionale fra l’abbondanza di informazioni e di cibo da un lato, e dall’altro la progressiva perdita della conoscenza delle matrici del gusto che rendono la nostra cucina identificabile come “italiana”. 

Tour a palazzo Madama, tris di antipasti classici piemontesi con insalata russa, vitello tonnato e carne cruda

Come è potuto succedere?

È la naturale evoluzione di una tendenza ormai diffusa in cui si dice “buono” di una immagine, di una caption ma neanche si sa che sapore abbia un dato piatto. Qui entriamo in un argomento molto complesso però, a volerlo riassumere potrei dire che siamo in un’epoca in cui si è abdicato al gusto, sostituendolo con lidea di gustoPer questo motivo in tutti i miei progetti io cerco di costruire una sorta di “archivio” dei sapori.

Torniamo per un attimo ai piatti. La gastronomia piemontese è una delle più variegate del Paese. Una fortuna? Un caso?

La nostra storia alimentare è la chiave per capire quella sociale ed economica. Ecco l’esempio pratico della sua prima domanda: recuperare alcune ricette aiuterebbe a spiegare perché qui e non altrove, per esempio, si sia sviluppata una cucina a triplice vocazione — nobile, popolare e borghese. Solo studiando si arriva a comprendere come si sia arrivati a sviluppare determinate preferenze, e perché certe preparazioni di un tempo oggi non ci sono più. 

Vitello tonnato piemontese

In effetti, si ricade spesso nel cliché passatista secondo cui le cosiddette ricette “antiche” sono sempre migliori di quelle di oggi. Come la vede?

Vale un criterio: il fatto che una ricetta fosse molto diffusa non significa che fosse altrettanto gradita. A volte un ingrediente, o una preparazione, era comune per questioni di disponibilità, comodità, economicità, e con il miglioramento delle condizioni di vita generali, non è stato più necessario rifugiarsi in certi piatti. Non tutto è da recuperare, e voglio confutare con forza l’idea che proporre alcune preparazioni “di una volta” sia necessario per non perdere la nostra identità… Vede, gli “antichi sapori” cui ci si appella spesso non sono altro che la testimonianza triste dell’eterno braccio di ferro fra l’uomo e la fame. E non hanno niente a che vedere con il gusto e il piacere.

Ora però ci faccia entrare nella cucina di casa Scabin. Intendiamo — qui sì — quella di “una volta”.

Senza saperlo, mi dà la possibilità di fare finalmente chiarezza su un grande malinteso: non sono figlio di una cuoca. Mia madre ha gestito per meno di un anno un circolo Arci a Rivoli, dove preparava piatti di pasta, qualche zuppa, qualche piatto casalingo, come le acciughe al verde. Io avevo neanche quattro anni, e passavo le giornate lì perché non poteva certo lasciarmi a casa da solo. La aiutavo, andando fra i tavoli a servire le uova sode. Niente di più.

Fassona al camino di Davide Scabin

Quindi i primi passi, potremmo quasi dire, li ha mossi in sala. Quando è passato ai fornelli?

Quando è nata mia sorella, mia madre ha dovuto scegliere altri percorsi. Pochissimi anni dopo, ero io quello che preparava da mangiare per lei e la mia sorellina quando rientravano: mia madre era una donna emancipata, indipendente… una che lavorava, negli Anni Settanta.

Ci racconti meglio i piatti del suo ricordo.

Vado indietro con la mente ai miei nonni, allora. A casa mia era sempre domenica, se penso alla varietà e golosità del cibo in tavola: mia nonna apriva il frigo e con gli avanzi poteva mettere in tavola ogni giorno cinque piatti diversi.

Miracoli dell’economia domestica. Qualche esempio?

Se la sera faceva la frittata, il giorno dopo con gli avanzi preparava una insalata. La carne del brodo invece la infarinava, ripassava nella padella di ferro facendo sviluppare quella crosticina croccante intorno… Ho imparato così, sul campo, a capire la logica dietro a molti piatti piemontesi che nascono dal recupero, come i peperoni e le verdure ripiene, le torte salate e gli stessi agnolotti, che servivano a riciclare l’avanzo dell’arrosto. 

Filetti di pesce in carpione

Immaginiamo che le sia poi tornato tutto utile…

Assolutamente. C’era una grande varietà, a casa mia, legata all’ingegno di dover ottimizzare tutto. E ad esempio il segreto di mia nonna era avere sempre in frigo una base di “bëssamèl”, la besciamella… sarà per questo che io sono un saucier.

Che piatti sono nati da qui?

Non ho mai sviluppato un piatto facendolo passare per un piatto “del ricordo”, dell’infanzia, o un omaggio alla nonna. Invece ho sempre lavorato prendendo spunto dalla logica dell’economia domestica per ottimizzare i processi nella mia cucina: chi cucinava per famiglie numerose doveva trovare soluzioni per sfamare e appagare, produceva in serie, conservava. Doveva saper sfruttare le temperature, e cercare il modo per prolungare la durata di ingredienti e preparazioni, da cui l’origine di tante ricette fermentate, sotto sale, sottolio, in aceto, come per il carpione: tutte tecniche che nascono dall’esigenza di sconfiggere la caducità del tempo e moltiplicare le porzioni

Però è anche vero che alcuni dei suoi piatti più celebri vanno dritti al cuore della “tradizione”. No?

Certo. Di ricette tradizionali ne ho riproposte molte: dalla lingua brasata al Barolo con purè di patate al vitello tonnato alla maniera antica; dal “piola kit” alla fassona al camino. Però sono la dimostrazione che la mia storia culinaria cammina di pari passo con i miei studi sulla cucina, anzi sulle cucine italiane. Ne sono sempre più convinto: per fare i classici bisogna aver studiato tanto, e avere l’idea di una sperimentazione legata all’evoluzione di un piatto. 

Il Piola Kit di Davide Scabin, rivisitazione dei classici, ph. Bob Noto

Riesce a dirci qual è la ricetta storica più emblematica della gastronomia piemontese?

Dipende quale Piemonte vogliamo rappresentare: se il popolo, la bagna caoda. Se la borghesia, la finanziera. Se la nobiltà, il gran bollito.

Ci racconti invece come vanno le cose nella cucina di casa. Cosa le piace preparare per sé?

Amo la trippa con i fagioli e le zuppe: dalla minestra di broccoli a pasta patate e provola, passando per la stracciatella in brodo. Poi l’uovo in tutti i modi; su quello al tegamino, ad esempio, ho la mia versione con 25 passaggi. Sembrano tanti e lo sono, ma li vale tutti. 

Ma tra tutte quelle di cui abbiamo parlato, qual è davvero la sua ricetta preferita?

Quella cucinata bene.

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