Se anche i carabinieri impediscono al cronista di lavorare...
Ieri fermato dalla pattuglia che stava rilevando un incidente stradale e tenuto fermo per due ore senza la possibilità di documentare l'episodio
Nel pomeriggio di ieri, martedì 22 marzo 2022, mi sono trovato, purtroppo perché fatti così brutti non dovrebbero accadere mai, a dover andare a documentare il terribile incidente stradale avvenuto a Villar Dora, in cui un motociclista ha perso la vita e uno scooterista è rimasto ferito in modo grave. Purtroppo è accaduto un fatto quantomeno increscioso, per non dire di peggio: mi è stato impedito di documentare l'episodio. Quando mi sono avvicinato e presentato al carabiniere che si stava occupando di smistare il traffico, mi è stato chiesto di tenermi a distanza e di non scattare fotografie. Naturalmente l'ho assecondato senza fare discussioni (e qui probabilmente ho sbagliato: avrei dovuto farne eccome) sperando che la situazione si sarebbe risolta di lì a breve come avvenuto in altre occasioni, facendogli presente le mie esigenze e di comunicarle ai suoi colleghi. Contestualmente, ho fatto presenti le mie esigenze anche a qualcuno un po' più in alto.
Così non è stato. Sono rimasto ad attendere il mio turno, cosa che avrei fatto comunque per esempio se vi fossero stati parenti della povera vittima, per una questione di delicatezza, ma non era questo il caso. Nel frattempo è tramontato il sole, rendendo così ancora più difficile il mio compito, e l'aria che nel frattempo si è raffreddata (con tutto quello che ne consegue). Fermo, immobile, per oltre due ore. Totalmente ignorato e lasciato lì, come se nulla fosse, dai carabinieri della compagnia di Rivoli che stavano eseguendo i rilevamenti. E anche dall'alto, dove mi ero rivolto, mi hanno fatto presente che era impossibile farmi fare quei 50 passi necessari per documentare l'accaduto, per fare due foto, per vedere se si potesse trovare un testimone oculare dell'accaduto. Fortunatamente un collega a cui prima del mio arrivo era andata meglio mi ha ceduto un'immagine, con grande cortesia, e così non sono rimasto totalmente a piedi, giornalisticamente parlando. Alla fine ho deciso di lasciare per il freddo e sono tornato alla mia auto che avevo parcheggiato molto distante per non rimanere imbottigliato.
Perché è gravissimo quando viene impedito a un giornalista di documentare un fatto con immagini e testimonianze? Prima di tutto perché i primi a perderci, quando succede, sono i lettori che non possono avere un quadro completo della vicenda e, in questa occasione, il nostro pezzo, benché contenga gli elementi essenzialissimi dell'accaduto, non ha potuto offrire, nostro malgrado, un'informazione adeguata: ad esempio, non siamo stati in grado di spiegare se la moto e lo scooter viaggiassero nella stessa direzione oppure in direzioni opposte. Esiste il diritto a informare, ma anche (e non è costituzionalmente da meno) il diritto della popolazione a essere informata. Senza contare che nel mondo odierno, dove chiunque si ritiene autorizzato a dire la propria sui social, se l'informazione non è precisa e circostanziata il rischio che vengano fatti commenti e osservazioni fuori luogo è all'ordine del giorno.
In seconda battuta, se il cronista esce di casa, fa chilometri in auto, paga l'autostrada, fa un altro lungo percorso a piedi andrebbe quantomeno rispettato perché sta lavorando esattamente come i carabinieri che fanno i rilevamenti. E come i carabinieri che fanno i rilevamenti sta lavorando per gli altri, non per se stesso, perché ritiene che portare all'attenzione del pubblico quel determinato fatto (qualsiasi esso sia) sia importante per la comunità di riferimento della testata che rappresenta. Se questo non accade evidentemente c'è un problema ed è essenzialmente culturale: c'è qualcuno, in quel momento, che ritiene che il lavoro del giornalista sia meno importante del suo. Forse bisognerebbe risolvere proprio questo, alla radice, con una maggiore educazione a partire dalle scuole. Altrimenti i giornalisti saranno sempre e soltanto quelli che vogliono fare gli impiccioni, che vogliono farsi i fatti degli altri (ma perché poi?), che vogliono rompere le scatole ai carabinieri di turno che (loro sì) stanno lavorando mentre tu sei andato lì per divertirti. E sai che bel divertimento prenderti due ore di vento freddo per documentare una tragedia che non avresti voluto ovviamente documentare perché sarebbe stato meglio se non fosse accaduta e che nessuno fosse morto. Ma invece è successa e qualcuno, se glielo consentono, deve pur documentarla.
La mia speranza è che si sia trattato di un episodio sporadico anche perché nella quasi totalità dei casi non accade e i carabinieri sono sempre molto disponibili. Magari stavolta è stato frutto di una cattiva comunicazione all'interno dei militari dell'Arma. Sugli incidenti stradali è la seconda volta che mi succede in 20 anni e purtroppo è sempre successo con i carabinieri. Ma anche in questo caso spero che si tratti di un caso e non di un modus operandi. Resto pronto a chiarire tutto con chi di dovere. Nella testa, però, mi rimane il seguente dubbio: che cosa sarebbe accaduto se io non mi fossi presentato come giornalista? Se fossi andato avanti e magari avessi scattato qualche immagine di straforo, senza farmi beccare dalla pattuglia? Ho il serio presentimento che nessuno alla fine mi avrebbe detto nulla. Però non credo che dovrebbe funzionare così, non è giusto. Anche perché la deontologia professionale ci impone di presentarci quando questo non costituisce un rischio per la nostra incolumità (e ieri non era certamente uno di questi casi).
Il tutto si inserisce perfettamente (e anche drammaticamente per chi fa il mestiere di cronista 'sul campo' in questa zona) in un discorso più ampio che è quello di come sia tenuta in considerazione la comunicazione dalle potenziali fonti. Ricordo, ad esempio, che il 118 a Torino è privo di ufficio stampa e di qualsiasi possibilità di comunicazione con i giornalisti dall'1 ottobre 2020. Ma anche che da un paio di anni è stato impedito ai giornalisti di contattare la centrale operativa dei vigili del fuoco per avere informazioni in tempo reale, lasciando la comunicazione a un ufficio stampa che una volta dà le informazioni tempestivamente e altre dieci no. Il tutto condito con lo scudo della famigerata legge Cartabia che, per alcuni esponenti delle forze dell'ordine, è diventato il pretesto perfetto per negare informazioni anche essenziali alla stesura di un pezzo decoroso. Insomma, fare il cronista a Torino in questa cornice sempre più funerea è sempre più difficile.