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La centravanti bianconera dice addio e bacchetta Torino: "Qui c'è ancora troppo razzismo"

Domenica ultima partita. La risposta di Chiara Appendino: "Non mi rassegno, Torino non è così"

"Torino a volte sembra vent’anni indietro in termini di apertura mentale sulle differenze culturali. Sono stanca di essere guardata dal negoziante come se stessi per svaligiare il negozio. Ci sono non poche volte in cui arrivi all’aeroporto e i cani antidroga ti fiutano come se fossi Pablo Escobar...".

Lo scrive Eniola 'Eni' Aluko, 32enne nigeriana naturalizzata inglese, centravanti della Juventus femminile, nella rubrica Sportblog che settimanalmente tiene sul quotidiano online The Guardian.

La calciatrice ha anche precisato di avere chiesto e ottenuto di essere ceduta quanto prima, dopo un anno e mezzo, e che domenica giocherà per l'ultima volta con la maglia bianconera prima di tornare in Inghilterra.

Anche se più che il razzismo, che non ha mai conosciuto "né dai tifosi della Juventus né nel campionato" in questa scelta ha pesato la volontà di esercitare il mestiere di avvocato. "Ma il tema in Italia e nel calcio italiano c’è ed è la risposta a questo che veramente mi preoccupa, dai presidenti ai tifosi del calcio maschile che lo vedono come parte della cultura del tifo".

"La sensibilità è aumentata - ha precisato Aluko - ma se vogliono essere un club internazionale anche a livello femminile, se la Serie A vuole crescere ci sono dei cambiamenti da fare".

Lo scorso marzo Eni Aluko era rimasta coinvolta in un incidente stradale in tangenziale. Nella rubrica ha ringraziato anche le compagne di squadra che si erano precipitate in ospedale per sincerarsi delle sue condizioni di salute.

La risposta di Chiara Appendino: "Non mi rassegno, Torino non è così"

"A Torino trattata come una ladra. A volte la città mi è sembrata 20 anni indietro". Queste dichiarazioni pesano come un macigno. Pesano perché si riferiscono a valori universali, come quelli dell'accoglienza e della lotta alle discriminazioni. Pesano perché la storia di Torino è una storia di porte aperte, non chiuse. Pesano perché oggi, purtroppo, nel nostro Paese episodi di discriminazione sono tornati a diffondersi.

Ma non mi rassegno io, non si rassegnano migliaia di cittadini che quei pensieri li combattono ogni giorno, non si rassegna Torino.
Perché Torino non è così. Ecco il motivo per cui vorrei dire a Eniola e a quanti, nel silenzio, hanno subìto episodi simili, che ad essere tornata venti anni indietro non è la Città, ma sono solo alcune persone. Che non rappresentano altro che loro stesse.

Torino invece è sempre qui. Consapevole delle difficoltà, ma profondamente determinata nel rifiutare che queste possano essere ridotte al colore della pelle, alla religione, o a qualsiasi altra caratteristica della persona. Rimango convinta che la discriminazione si combatta con risposte culturali e politiche, a tutti i livelli, che non possono tardare ad arrivare. La Città proseguirà nel suo costante impegno in questa direzione, con tutti gli strumenti a sua disposizione

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