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Mercato Centrale, chef Rubio: “Spero che fallisca”. La replica: “Parole per raccogliere consensi”

Chef Rubio, il cuoco televisivo reso celebre da programmi come "Unti e bisunti" e "Camionisti in trattoria" in cui esalta la prelibatezza di ricette popolari e cibo da strada all'italiana, ha detto la sua sul Mercato Centrale di Torino, la nuova realtà gastronomica di Porta Palazzo. Lo ha fatto durante un’intervista all'edizione torinese del Corriere della Sera e non ha utilizzato mezzi termini. Alla domanda della giornalista: “All’epoca comprò le spezie tra le bancarelle di Porta Palazzo. Dove oggi c’è anche il Mercato Centrale. Cosa ne pensa?” ha risposto: “Spero che fallisca. Quel quartiere non ha bisogno di format sintetici. È stupendo per la sua multietnicità. Posti come il Mercato Centrale vengono fatti per persone che non hanno il coraggio di entrare nei mercati, quelli veri”.

L’affermazione di Gabriele Rubini - il vero nome di Chef Rubio, in passato giocatore di rugby - ha scatenato polemiche e reazioni, da più parti. Oggi Gambero Rosso ha pubblicato la risposta del diretto interessato, insieme a tanti lavoratori del Mercato Centrale, l’imprenditore Umberto Montano la cui azienda (Mercato Centrale, ndr) si è allargata da Firenze a Roma e tra poco debutterà anche a Milano, dopo la recente apertura proprio a Torino, avvenuta sabato 13 aprile 2019 (video).

Nel rispondere al cuoco romano, l’imprenditore fiorentino Umberto Montano premette: “Il personaggio e le sue parole sono palesemente artefatte per raccogliere ‘consensi mediatici’ e poter dare scopo a una ‘identità’ che altrimenti sarebbe costretta a confrontarsi sul terreno ben più difficile del gioco reale, con le sue regole d’ingaggio e i suoi valori: serietà, dignità, professionalità, misura, responsabilità”.

Nella replica rilasciata al Gambero Rosso (qui la risposta completa) Montano parla di chef Rubio, ma soprattutto risponde: "Mi chiedo che spirito possa muovere un soggetto pubblico, che sventola spesso la bandiera della solidarietà, della cultura e dell’inclusione, a ‘sperare’ nel fallimento di un progetto onesto e trasparente, che accoglie un gran numero di lavoratori (oltre duecento) e che, in quanto tale, è proprio l’emblema della società più auspicabile” e ancora Montano dice: “Vorrei vedere l’uomo di fronte alle responsabilità reali. Tanta spavalderia lascia supporre che non abbia mai avuto occasione di imbattersi nei troppi disoccupati che costituiscono la più grave ipoteca per la civiltà stessa del nostro Paese, non si è mai imbattuto in operai di fabbriche e aziende che, appunto, falliscono, e privano del lavoro famiglie che darebbero un pezzo di sé per averne uno sano e retribuito come quei 200 che il nostro ‘chef solidale’ spera vadano falliti”.

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