Dopo 7 ore al pronto soccorso, lo lasciano sanguinante in sala d'aspetto: si erano "dimenticati" di lui
"Come si può dimenticare un paziente nella sala d'attesa di un pronto soccorso e (di conseguenza) dimetterlo senza comunicarglielo? Non é una domanda retorica, é una (mia) domanda a cui non hanno risposto i medici dell'ospedale di Michele e Pietro Ferrero di Verduno (Cuneo). Già perché un professionista della struttura sanitaria mi ha dimesso senza dirmelo e soprattutto senza medicarmi. Risultato? Sono stato sette ore in balia degli eventi senza sapere se il mio dito del piede (ferito) fosse anche fratturato o meno. Ma partiamo dall'inizio.
Mi sono presentato al pronto soccorso alle 10.33 di venerdì 21 agosto per una ferita al secondo dito del piede sinistro. Un trauma frutto di uno scivolone a bordo piscina del pomeriggio precedente. Nulla di grave, ma visto che non riuscivo a camminare (e dato che il dito era gonfio e violaceo) avevo il sospetto che fosse rotto. Lo ha sospettato anche il medico in servizio al pronto soccorso che mi ha visitato un attimo dopo essere stato accettato al Triage in codice verde. Carolina B. mi ha fatto togliere il cerotto che copriva la ferita (sanguinante), ha dato uno sguardo al dito e poi mi ha fatto accompagnare da una oss in radiologia per una lastra. Quindi (a bordo di una carrozzina) sono stato trasportato nel reparto, sono stato sottoposto ai raggi x e intorno alle 11.50 (senza che mi fosse comunicato alcun esito) e sempre a bordo della sedia a rotelle sono stato parcheggiato nel corridoio "attesa sala gessi". E qui é iniziata l'interminabile attesa. Non ero l'unico in coda, c'erano diverse altre persone tra cui una bambina accompagnata dal padre e diversi anziani, anche loro accompagnati. "Questa mattina l'ortopedico é stato impegnato in sala operatoria, ci sarà da aspettare un po'", ha detto un dipendete dell'ospedale intorno alle 12.30. e così ho aperto il Kindle e ho iniziato a leggere. Ho combattuto la noia e mentre il tempo passava i pazienti entravano col contagocce. Intorno alle 15.30 ho iniziato ad avere i primi dubbi e ho chiesto a un infermiere in che posizione fossi nella lista d'attesa. Nessuna risposta.
Qualche minuto dopo ho posto la stessa domanda al personale del triage, anche qui nessuna risposta. Alle 17.30, dopo quasi sette ore dal mio arrivo al pronto soccorso ho chiesto con insistenza all'infermiere che "gestiva" i pazienti quante persone avessi davanti. Non ho chiesto con arroganza di essere medicato (so come funziona un pronto soccorso, so che ci sono continuamente emergenze e un eventuale dito del piede rotto non é una emergenza) ma ho solo chiesto quanto tempo avrei dovuto aspettare. E dopo alcuni minuti l'infermiere é tornato domandandomi "Lei non risulta in carico al reparto di ortopedia, come é arrivato qui?". Praticamente, come ho ricostruito poco dopo, dalle 12.27 ero diventato un fantasma: tre minuti prima delle 12.30 il medico del pronto soccorso (Carolina B.) mi aveva dimesso con una prognosi di tre giorni. Senza comunicarmelo e senza che la ferita (ancora sanguinante) fosse medicata. E proprio alle 17.30 mi sono qualificato come giornalista. Risultato? La situazione ha subito una brusca accelerata (sicuramente sarebbe accaduto anche se non avessi detto quale fosse la mia professione). Il medico in servizio al pronto soccorso (Paolo T.) ,i ha fatto accedere nuovamente al triage — nei documenti del pronto soccorso il mio caso é stato bollato come "disguido" e alle 18.25 mi ha dimesso. Risultato? Solo una brutta botta che guarirà nell'arco di una settimana. Il personale medico (primario del pronto soccorso in primis) si é scusato per quanto accaduto. Scuse accettate, ovviamente, ma cosa é andato storto nella "catena di comando"? Perché una dimissione é stata trattata come un puro atto burocratico? Me lo sto chiedendo da quando sono uscito dall'ospedale, dopo aver buttato al vento un terzo delle mie vacanze".