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Economia Mirafiori Sud / Corso Luigi Settembrini

Stellantis, in una lettera alle aziende dell'indotto l'invito a investire in India o Asia

A rivelare la notizia sono stati i sindacati che hanno anche parlato della volontà del Governo di cercare per l'Italia un produttore di auto alternativo che arrivi dalla Cina, ma per insediarlo in Puglia e non in Piemonte

Dopo la comunicazione con la quale invitava i propri dipendenti a 'crearsi un futuro fuori dall'azienda', Stellantis avrebbe inviato una nuova missiva che è destinata a fare discutere parecchio. A parlarne è stato Giorgio Airaudo, segretario piemontese della CGIL, che questa mattina - martedì 16 gennaio - insieme ai segretari regionali di UIL e CISL è stato ascoltato durante una seduta aperta del consiglio regionale piemontese. 

"È arrivata una lettera dalla multinazionale Stellantis in cui si dice che i fornitori di componentistica devono collocare l'80% del fatturato in Paesi low cost, cercando un alleato preferibilmente indiano o asiatico. A primavera arriverà il conto", spiega Airaudo. "Ci sono imprenditori che ci segnalano informalmente di queste pressioni. Loro possono anche non farlo, ma è evidente che se vogliono prendere le commesse future è meglio che trovino un socio in un paese indiano o asiatico". Parole pronunciato il giorno dopo l'annuncio di ancora tre settimane di cassa integrazione a Mirafiori

In Italia il settore della componentistica conta 80.000 addetti, più del totale degli assunti dal gruppo Stellantis. Di questi il 50%, ovvero 40.000 è in Piemonte. "Con la nascita di Stellantis anche chi aveva diversificato la committenza si è ritrovato ad avere una massa critica, cioè chi aveva il 20% di commissioni su Peugeot e il 10% su Fiat adesso ha il 30% sul gruppo", continua Airaudo, "e se tu chiedi all'indotto di seguire i prodotti e trovare soci in Paesi low cost stai smontando la componentistica italiana. Si sta fermando la Germania, Stellantis porta via le produzioni, aggiungi la geopolitica e i problemi energetici ed è la tempesta perfetta. Questa è la crisi di domani mattina. Io temo molto la primavera". 

Il Piemonte come il Sud Italia

Un allarme che risuona ancora più terribile se si guarda al contesto in cui questa crisi si sta generando. La provincia di Torino negli ultimi sedici anni - da quando è esplosa la crisi mondiale - ha cominciato a sprofondare nella povertà. I numeri dicono che Torino e la sua area metropolitana abbiano una differenza sul prodotto interno lordo pro capite di 11.000 euro rispetto agli abitanti della provincia di Varese. Per esempio.  

"Siamo sotto di 76.000 dipendenti rispetto al 2008 quando è partita la crisi mondiale", spiega Gianni Cortese segretario regionale della UIL Piemonte, "Volutamente cito dati che partono dal 2008 perché si sono succedute tutte le formazioni politiche e le responsabilità vanno condivise, ma bisogna raccontare alla gente come stanno le cose e cosa si può fare per modificare le loro condizioni, sapendo che disagio e povertà sono aumentati nel nostro Paese. Non ci sono meno poveri. La disoccupazione in Piemonte in questo momento è un punto e mezzo in più rispetto al 2008, i giovani disoccupati sono il 20% a fronte del 15% dell'epoca e solo un 20% di chi studia nelle università piemontesi trova lavoro nella nostra regione dopo un anno o due, gli altri vanno all'estero o nelle altre regioni. Siamo il Sud del Nord". 

Chi vuole dismettere paghi il conto

Si guarda dunque al futuro con preoccupazione, nonostante le rassicurazioni della Regione Piemonte che vede segnali positivi nell'economia piemontese, come spiegato dall'assessora Elena Chiorino. "È in dubbio che ci sono settori che sono cresciuti, ma non è sufficiente per dire che abbiamo risolto il problema da un punto di vista numerico e della qualità", le risponde Luca Caretti della CISL Piemonte, "Capisco che si debbano valorizzare i passi in avanti, ma non bisogna sottovalutare i segnali di crisi perché stanno arrivando da un settore che per il Piemonte è stato trainante. Il problema è grande, bisogna parlare di prospettive con un tavolo che metta insieme tutte le parti sociali. Anche noi come sindacato dobbiamo aiutare le aziende che si vogliono ristrutturare per rimanere sul territorio, ma non possiamo permettere che quelle che vogliono dismettere ci salutino senza pagare il conto dopo anni di aiuti che hanno avuto da parte del territorio. Sarebbe un danno che pagherebbero i lavoratori, ma che segnerebbe un impoverimento generale del tessuto industriale".  

Un produttore cinese di auto per il Piemonte

Infine la prospettiva, quella di portare in Italia un produttore di automobili che arrivi dalla Cina. "Non è un segreto che il Governo italiano stia provando a portare un produttore cinese in Italia ed è ragionevole che ci provi perché il secondo mercato mondiale dell'auto elettrica sarà l'Europa", dice Aiurado della CGIL, "ma non è nemmeno un segreto che l'area proposta al produttore cinese sia di fianco al porto di Taranto. Questo non è casuale. L'area proposta non è in Piemonte, per esempio nell'area dell'ex Maserati che è stata messa in vendita dalle agenzie immobiliari. Quello è lo stabilimento che ha la verniciatura più nuova d'Europa che è la ragione per cui Marchionne la prese". 

Portare in Piemonte, la regione italiana dell'automotive, un nuovo produttore di automobili permetterebbe di alleviare la crisi, ma la palla a questo punto passa alla politica. 

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