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Cronaca Ivrea

Condannato all'ergastolo per l'omicidio della madre adottiva: tenta di impiccarsi in cella

Salvato dagli agenti penitenziari

Ha tentato di uccidersi impiccandosi in cella 16 giorni dopo la condanna all'ergastolo che gli è stata inflitta nel processo di primo grado per l'omicidio della madre adottiva. Caleb Ndong Merlo, 39enne italiano di origini camerunesi, era accusato di avere tolto la vita all'insegnante vercellese Paola Merlo, trovata morta il nel luglio 2018 nella sua abitazione. Un'accusa che lui aveva sempre respinto con forza, sostenendo che la donna era morta per una caduta accidentale. Teatro del tentato suicidio è stato il carcere di Ivrea, dove l'uomo, domenica 13 ottobre 2019, è stato salvato dagli agenti di polizia penitenziaria e trasportato in ospedale, dove si trova tuttora. 

Il tentato suicidio e il salvataggio

Ndong Merlo si trovava nel reparto di osservazione del carcere da oltre un anno. Erano le 14 quando è partito l'allarme: alcuni agenti di polizia penitenziaria lo hanno visto appeso alle grate. Per impiccarsi aveva annodato una delle sue maglie. Immediatamente è stato soccorso e tirato giù, dopodiché è stato trasportato all'ospedale di Ivrea. Si salverà.

Osapp: "Facciamo sempre il nostro dovere"

Leo Beneduci, segretario generale Osapp, sindacato di polizia penitenziaria, commenta: “La polizia penitenziaria fa sempre il proprio dovere anche quando risorse organiche e mezzi difettano come nel caso di Ivrea. A nostro avviso, gli errori, le inadempienze e la sostanziale incapacità gestionale che connotano l’attuale andamento del sistema carcere in Italia comporteranno conseguenze di notevole entità per lungo tempo in danno alla collettività esterna al carcere su tutto il territorio nazionale”.

L'omicidio di Paola Merlo: le accuse contro Caleb

Paola Merlo era un'insegnante e sindacalista di 66 anni molto conosciuta a Vercelli. Abitava in un appartamento in via Bengasi e non era sposata. Aveva deciso di adottare Caleb, in Italia dal 2002, poiché quest'ultimo non riusciva a ottenere lo status di rifugiato politico. I due si erano conosciuti alle scuole serali dell'istituto Lanino, dove la donna insegnava.

Secondo l'accusa (le indagini erano state condotte dalla squadra mobile della questura di Vercelli) l'uomo non aveva mai trovato un lavoro e aveva il vizio del gioco d'azzardo. Nel corso degli anni avrebbe accumulato pesanti debiti.

Il 2 luglio 2018 Caleb, noto nella cittadina sia perché presidente di un'associazione che si occupa di integrazione ma anche per alcuni comportamenti sopra le righe (in passato aveva accusato di razzismo i gestori di una piscina che gli avevano chiesto i documenti come fanno con tutte le altre persone che si presentano per nuotare) si era presentato in questura: "Sono stato stato sequestrato da due uomini armati - aveva raccontato -. Hanno detto che uccideranno mia madre se non li aiuterò a trasportare uranio in Italia dal Camerun". Secondo gli investigatori si è era trattato della costruzione di un falso alibi.

Il pomeriggio del successivo 10 luglio Caleb aveva chiamato il 118: "Venite subito - aveva detto con voce disperata -, mia madre è caduta mentre stava pulendo il bagno". Quando i soccorritori erano arrivati la donna era stata trovata morta in una pozza di sangue. Lui aveva raccontato di essere rincasato e di averla trovata in quelle condizioni. "Era caduta anche ieri - aveva raccontato Caleb - ma non aveva voluto farsi trasportare in ospedale". In questo caso, la sua ricostruzione è stata subito smentita dai fatti: il giorno prima la madre aveva scambiato 109 messaggi Whatsapp con un'amica proprio quando avrebbe dovuto avere l'incidente. Lui si trovava in un bar (munito di telecamere) e telefonava agli amici dicendo che la madre era caduta in casa. Anche in questo caso gli investigatori parlano di falso alibi.

L'autopsia sul corpo della vittima, eseguita dal medico legale Roberto Testi, aveva poi trovato segni da difesa sulle dita di Paola Merlo, uccisa invece non dalla caduta ma da un colpo secco alla nuca sferrato con un oggetto contundente.

A quel punto per Caleb era scattato l'arresto con l'accusa di avere ucciso la madre adottiva in modo premeditato. Movente: lei gli avrebbe negato i soldi per il gioco.

Il processo e la condanna all'ergastolo

Il processo di primo grado si è poi tenuto davanti alla corte d'assise di Novara. I pm Davide Pretti e Francesco Alvino, che avevano condotto l'accusa, avevano chiesto per lui la condanna all'ergastolo.

Durante l’ultima udienza l'uomo aveva dato in escandescenze. I poliziotto penitenziari avevano dovuto immobilizzarlo perché cercava di avventarsi contro il pubblico ministero ricoprendolo di offese. Era stato anche gettato a terra e ammanettato in aula.

La sentenza è arrivata lo scorso 27 settembre 2019. La corte lo ha condannato all'ergastolo. Lui si è messo le mani in testa e ha continuato a gridare la sua innocenza.

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