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Dall'Ungheria a Torino per lavoro, ma ora vivono sotto i portici

Vengono dall'Est Europa. Cercano lavoro in Italia, ma sono finiti a dormire sotto i portici. Attila e Franz si raccontano: "Se non troviamo lavoro, andremo via da questo Paese"

Vivere ai margini della società. Per di più senza una casa, al freddo, trovando riparo in un edificio abbandonato. Questa è la storia degli ungheresi che hanno trovato rifugio alla Cavallerizza Reale, l’antica sede delle scuderie dei Savoia, capolavoro architettonico di Benedetto Alfieri e Filippo Juvarra, da anni nel totale abbandono e con il costante rischio di crolli. Attorno a loro, il nulla: il cortile della Cavallerizza è occupato solo da qualche automobile: un angolo di tranquillità nel cuore della Torino più storica.

Trovarli non è difficile. La loro “casa” è ben riconoscibile: pannelli di cartone e legno posti tra una colonna e l’altra dell’aulico porticato difendono Attila e Franz dagli sguardi dei curiosi. Il primo ha 39 anni, il secondo 42. Sono due persone che parlano bene italiano, vivendo in Italia da cinque anni. Ma le cose non vanno per il verso giusto: da molto tempo non trovano lavoro e, rimasti senza niente, si sono adattati a vivere sotto un portico.

Attila lavorava a Livorno, dove faceva l’automeccanico; Franz, invece, era muratore. Sono arrivati a Torino due mesi fa: la Cavallerizza con i suoi portici è stata per loro una salvezza. “Abbiamo scoperto questo posto grazie a degli amici che già ci vivono – spiegano – ora siamo in cinque che dormiamo qui”. Alcuni di loro, racconta Attila, dormono alla Cavallerizza da tre anni: ormai è una specie di casa, per loro, e non hanno paura dei possibili crolli di un edificio che è abbandonato da moltissimo tempo.

“Viviamo grazie alla Caritas e alle offerte di qualcuno – spiegano – ma non siamo rasegnati: cerchiamo ancora lavoro”. E il problema è trovarlo. “In Italia, infatti, è difficile trovare un’occupazione. Molto difficile”. Forse troppo, data la loro situazione. E Attila sospira: “Se non troverò lavoro nel giro di qualche mese, dovrò andarmene”. Verso dove? “In un altro paese certamente. Se resto qui, non so come sarà il mio domani”.

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