rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Centro

Mogadishow, prima nazionale al Teatro Gobetti di Torino

Mogadishow è il viaggio di una donna e dei suoi spettatori in quella che un tempo era la pacifica e vivace Mogadiscio, città dalla forte impronta italiana all’equatore e conquista sabauda sin dal 1898. I profumi, i sapori e le canzoni raccontano quanto sia stata italiana la capitale della Somalia e quante altre culture si siano intersecate in quel nodo vitale di migrazioni. Saba descrive in un dialogo polifonico tra i personaggi e i luoghi della sua galleria privata una città che nella sua recente parabola storica diventa metafora di nascita e morte, sogno e decadenza. Mogadiscio che scompare, che non c'è più se non nella memoria e nel rimpianto di chi ha vissuto lì i suoi anni migliori. Mogadiscio che oggi ha un nuovo governo e una "road map" per una Somalia pacificata dove però vengono assassinati gli operatori della comunicazione e dell'informazione. Per questo progetto Fabio Barovero, già produttore e co-autore dei tre album della cantante-attrice Saba Anglana, scrive le musiche, mentre Domenico Castaldo dà vita con la sua regia al racconto del ritorno nei luoghi delle origini dell’attrice.

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di TorinoToday

La pacifica e vivace Mogadiscio di un tempo emerge dalla sua mappa squadrata che la fa somigliare a Torino; la città, d'altronde, fu conquista sabauda dal 1898. I profumi, i sapori e le canzoni raccontano quanto sia stata italiana la capitale della Somalia e quante altre culture si siano intersecate in quel nodo vitale di migrazioni. L'odore delle focacce e dell'espresso, il duomo che assomiglia alla Cattedrale di Cefalù, i dialoghi italiani dei doppiatori nei cinema, la voce di Sam Cooke mescolata a quella di Celentano: il tutto accompagnato dal profumo "Paradiso Perduto" dell'azienda piemontese Paglieri, l'articolo più venduto a Mogadiscio. Su questo incipit s'innesta la storia della cacciata da quel paradiso di una famiglia mista. I cinque anni successivi alla rivoluzione di Siad Barre, che sono anche i primi cinque anni di vita di Saba, coincidono per i parenti dell'autrice con la difficoltà della convivenza e la costrizione alla fuga. I concetti di identità e provenienza, di appartenenza e libertà si trasformano in una crisi personale che su scala più ampia porterà al lungo periodo di guerra civile somala e alla dolorosa diaspora.

Saba racconta in un dialogo polifonico i personaggi e i luoghi della sua galleria privata, concertati per risuonare insieme metaforicamente: un cane nero che sorveglia una buca, un cammello issato su di una barca a largo, il pasto dei pescecani.

Il terribile Stafurò, monsone che chiede sacrifici, il vento della rivoluzione, che richiede anch'esso sacrifici. La nonna Abebech inumatrice di placente, la ribelle zia Dighei. La visita dell'Imperatore d'Etiopia, una suora che viene da Pinerolo, un guaritore. E ancora, un rappresentante della Duralex e un bicchiere infrangibile. Sullo sfondo, una città - la più italiana tra quelle all'equatore - che nella sua parabola storica diventa metafora di nascita e morte, sogno e decadenza. Mogadiscio che scompare, che esiste solo nella memoria e nel rimpianto di chi ha vissuto lì i suoi anni migliori. Mogadiscio che oggi ha un nuovo governo e una "road map" per una Somalia pacificata dove però vengono assassinati gli operatori della comunicazione e dell'informazione. Cardine del racconto è la nonna Abebech, strappata dalla sua terra natale, l'Etiopia, nel periodo della colonizzazione italiana. Arrivata a Mogadiscio, costruisce una famiglia e fonda una nuova appartenenza che le vicissitudini e le ancestrali divisioni fra gli uomini le negano, perché Abebech e i suoi figli vengono considerati stranieri e costretti nuovamente a lasciare tutto. I Worku, il gruppo familiare dei nonni materni di Saba, riprendono la strada della diaspora che li riporta al paese di origine, mentre la famiglia Anglana torna in Italia. Saba è infatti nata in Africa da padre italiano e madre Etiope, profuga nel nostro paese. Si disegna così una storia di non appartenenza, di amore per un luogo che non ricambia. Malgrado le felici premesse di angolo paradisiaco, Mogadiscio disattente alle promesse di pace tra gli esseri umani, di identità libera, di appartenenza senza bandiere. Da questa sorta di fallimento che la nonna vive nascono quel dolore, quella rabbia e quello smarrimento che sono come tramandati nel sangue alla sua discendenza di migranti. Per tutta la vita ciascuno dei componenti della famiglia avrà a che fare più o meno dolorosamente con questo fardello. Stranieri ovunque, sempre e comunque.
Saba, dopo tre generazioni, fa da ponte tra la Mogadiscio dei suoi natali e l'Italia del suo presente; solo così può ricucire la memoria e compiere una necessaria guarigione attraverso il racconto. Un racconto personale che, per le tematiche trattate, diventa universale e quanto mai attuale.

"Dimenticare ostacola il processo di affrancamento dal dolore, la memoria va fatta dunque fiorire. Bisogna occuparsi delle proprie origini per potersene poi quasi liberare, perché non rimangano dentro ciascuno come radici interrotte".

 

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Mogadishow, prima nazionale al Teatro Gobetti di Torino

TorinoToday è in caricamento